Outlook 2024: Le azioni nell’era del 3D Reset
I mega trend che stanno ridisegnando l'economia mondiale presentano agli investitori azionari un'ampia gamma di opportunità e rischi. Alex Tedder e Tom Wilson esaminano i mercati avanzati ed emergenti in un’ottica globale, per individuare i settori, i Paesi e i temi più adatti ai prossimi mesi.
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Investimenti azionari globali e tematici
Alex Tedder
Sotto la superficie di alcuni apprezzabili rendimenti azionari globali del 2023, con l'MSCI World salito finora al 9,1% in termini di USD, il quadro è tutt'altro che positivo.
Un convergere di fattori, associato a quello che abbiamo definito 3D Reset, sta determinando un cambiamento di regime di proporzioni maggiori. Le sfide strutturali che erano evidenti già prima della pandemia si stanno ora acuendo.
Nel 2024 le incertezze persisteranno e i mercati azionari resteranno probabilmente volatili. Come sempre, tuttavia, potrebbe rivelarsi esatto il vecchio adagio secondo cui "c'è sempre un mercato rialzista da qualche parte". Riteniamo, infatti, che siano molte le aree che l'anno prossimo potrebbero rivelarsi molto redditizie per gli investitori azionari globali.
Il 3D Reset e la fine dell'era del denaro gratuito
Negli ultimi dieci anni, la caratteristica più evidente dei mercati finanziari è stata probabilmente la costante diminuzione del costo del rischio. La politica attuata dalle banche centrali dopo la crisi finanziaria globale ha azzerato i tassi di interesse, con un effetto drammatico sui prezzi degli asset, che sono saliti di molto.
Poi è arrivata la pandemia, seguita a ruota dalla guerra in Ucraina: questi eventi hanno cristallizzato pressioni che andavano accumulandosi ormai da tempo.
I fattori in gioco sono molteplici, ma riteniamo si possano raggruppare in tre categorie: 1) i vincoli demografici; 2) gli imperativi di decarbonizzazione; 3) le iniziative di deglobalizzazione. Insieme determinano quello che chiamiamo 3D Reset.
Unitamente agli alti livelli del debito sovrano, questi fattori hanno creato strozzature nell'offerta, fatto salire i costi salariali, incrementato l'inflazione generale dei prezzi e favorito politiche populiste. Le banche centrali si sono viste costrette ad agire in modo deciso, attuando drastici rialzi dei tassi di interesse, che sembrano destinati a rimanere alti ancora per un po’. Non stupisce quindi il nervosismo dei mercati finanziari.
È ora di fare il contrario di quello che abbiamo fatto negli ultimi dieci anni
Il senno di poi è una scienza esatta. Guardando agli ultimi 10 anni, fino al 2021, quello che gli investitori potevano fare pare davvero semplice: comprare azioni, investire nella crescita (soprattutto tecnologica), investire principalmente negli Stati Uniti, non preoccuparsi delle valutazioni e sfruttare la situazione (finanziare con il debito).
Chiunque abbia seguito questo approccio ha ottenuto risultati ottimi, come hanno fatto molti investitori.
Ma adesso c’è il 3D Reset, che per gli investitori ha implicazioni importanti sulla maggioranza delle asset class. Il fatto più evidente è che la liquidità non è più spazzatura: il denaro in banca può garantire rendimenti di tutto rispetto.
Gli investitori azionari devono cambiare mentalità, attuando un cambiamento che comporta:
- maggiore diversificazione geografica (meno Stati Uniti, più resto del mondo)
- più attenzione alle implicazioni del cambiamento strutturale
- rinnovata attenzione a valutazioni, qualità e rischi.
Esaminiamo meglio questi punti.
Guardare oltre gli Stati Uniti, in particolare a mercati poco amati come Giappone e Regno Unito
Come Warren Buffett ci ricorda regolarmente, è dura scommettere contro l’S&P500. Dalla fine del 2010, l’S&P ha realizzato, in termini di dollari, un rendimento cumulativo del 340% contro il 95% delle azioni europee e il 20% dei mercati emergenti; nello stesso periodo la Cina ha registrato un rendimento negativo.
Grafico: è ora di rivolgersi a mercati diversi da quello statunitense
Le performance passate non sono indicative delle performance future e potrebbero non ripetersi.
Negli Stati Uniti il settore corporate resta, nel complesso, il meglio gestito e il più innovativo di tutti. Si tratta di una costellazione unica. Le aree ad alta crescita come la tecnologia, le comunicazioni e la sanità rappresentano una quota dell’indice molto maggiore che in altre regioni; il settore IT, per esempio, rappresenta oggi il 28% dell'S&P500 rispetto ad appena il 6% in Europa.
Su tali basi, è probabile che l'S&P continui a scambiare con un premio sugli altri mercati. Va tuttavia notato che il divario delle valutazioni tra Stati Uniti e resto del mondo attualmente si attesta a livelli estremi. Per contestualizzare, la capitalizzazione di mercato del gruppo "Super-7" (responsabile della gran parte dei rendimenti delle azioni globali di quest'anno) è superiore a quella di Regno Unito, Francia, Cina e Giappone messi insieme. Storicamente, per quanto le polarizzazioni possano spesso durare a lungo, è inevitabile che a un certo punto il divario si riduca.
Grafico: quest’anno le Super-7 crescono di oltre il 50%, invariato il resto del mondo
Per essere chiari: non siamo negativi sul mercato statunitense. Escludendo le Super-7 e altri nomi ad alta crescita, l'S&P500 scambia solo leggermente al di sopra della sua media di lungo periodo; anzi, in molti casi le azioni statunitensi a piccola e media capitalizzazione hanno valutazioni attraenti.
Quanto alle Super-7 (Apple, Microsoft, Amazon, Alphabet, Meta, Nvidia e Tesla), anche se forse non hanno più tanta strada da percorrere, restano casi unici con modelli di business potenti e altamente redditizi: non spariranno tanto presto.
Dopo anni di rendimenti deludenti, è molto probabilmente giunto il momento di tornare a guardare a mercati poco amati come Giappone e Regno Unito.
Il mercato giapponese è in ritardo dal 1992, quando la bolla dei prezzi degli asset scoppiò con conseguenze catastrofiche sull'economia. Dopo vent’anni senza inflazione e con lo yen svalutato del 50% rispetto al dollaro USA, l'economia giapponese è ora altamente competitiva. Per di più, le autorità giapponesi si sono rese conto che dalla fine del maggio 2023, più della metà delle società presenti in borsa scambiano a un valore inferiore a quello dei loro asset (cioè a un valore nominale inferiore a 1).
Verso la fine del 2022 è stata emanata una direttiva volta a "incoraggiare" le società giapponesi a restituire liquidità agli azionisti tramite buyback o aumento dei dividendi. La risposta iniziale del settore è stata molto forte e ci aspettiamo che continui a esserlo.
Grafico: Giappone: ripresa di redditività e produttività
A lungo percepito come un mercato azionario "legacy" a causa della concentrazione relativamente elevata di settori tradizionali quali energia, minerario, beni di prima necessità e bancario, negli ultimi 20 anni il Regno Unito ha costantemente sottoperformato l'indice mondiale. La regolamentazione, l'apatia del governo e la Brexit non sono state certo d’aiuto. Eppure, sotto questa superficie, il Regno Unito ha molto da offrire. La governance e la trasparenza contabile sono in generale le migliori della categoria. Le società del FTSE sono per lo più aziende globali con un'ampia esposizione ai mercati growth. E delle circa 1.800 altre società quotate, molte sono sottovalutate e poco studiate. Ma soprattutto, il mercato britannico scambia con uno sconto significativo, sia in termini storici sia rispetto al resto del mondo. L’indice FTSE All-Share valutato appena dieci volte gli utili del prossimo anno e il dividend yield superiore al 4% rendono il mercato britannico davvero interessante (fonte Bloomberg, ottobre 2023).
Pensare a temi strutturali di lungo periodo
Sorprendente che a questo punto del 2023 l'indice MSCI Global Alternative Energy sia sceso del 40% (fonte Bloomberg, fine ottobre 2023). Il sentiment degli investitori risente di un insieme di risultati deludenti (in alcuni casi non supportati da valutazioni estese) e del dietrofront politico sulle iniziative ambientali.
Eppure, anche l'ecoscettico più incallito farebbe fatica a negare la sempre maggior evidenza degli effetti climatici estremi. Gli argomenti a favore della decarbonizzazione sono schiaccianti. Superate molte delle pressioni sui costi post-pandemia e la questione della sovraccapacità di alcune aree delle energie rinnovabili, sembra che questo sia un momento ottimo perché gli investitori prendano in considerazione il tema della transizione energetica.
Pare chiaro che la tecnologia è fondamentale per affrontare molte delle attuali sfide strutturali: l'energia solare e la cattura del carbonio, per esempio, sono temi centrali per la transizione energetica. Analogamente, la sfida demografica troverà ampia risposta nelle scoperte mediche, nell'automazione e nell'intelligenza artificiale.
L'intelligenza artificiale ha catturato l'immaginazione degli investitori e, naturalmente, c'è il rischio sostanziale che su di essa si ponga troppa enfasi, ma la logica sottesa all'entusiasmo del mercato è inconfutabile. L'automazione è una tendenza di lunga data che si è rapidamente estesa da processi industriali limitati a intere fasce del settore dei servizi. L'intelligenza artificiale generativa, basata su modelli linguistici, alza di molto la posta in gioco.
A livello globale ci sono più di un miliardo di lavoratori della conoscenza, cioè lavoratori che applicano conoscenze teoriche o analitiche a specifiche mansioni; l’aumento, il potenziamento e, forse, il parziale rimpiazzo del loro lavoro porterà cambiamenti epocali e creerà importanti opportunità per gli investitori, non solo nel settore tecnologico ma in quasi tutti i settori dell'economia. Secondo PWC, entro il 2030 il valore economico potenziale dell'intelligenza artificiale raggiungerà i 17.000 miliardi di dollari l'anno. Rispetto all'attuale PIL mondiale di circa 110.000 miliardi di dollari, si tratta di una somma straordinaria e le opportunità nell’area dell'automazione si riveleranno probabilmente immense.
Il prezzo è ciò che paghi, il valore è ciò che ottieni
In un contesto di tassi d'interesse elevati, le valutazioni contano molto di più rispetto a quando i tassi d'interesse sono prossimi allo zero. Le azioni sono state un ottimo investimento nel lungo periodo: negli ultimi 150 anni l'S&P500 ha registrato un rendimento reale (al netto dell'inflazione) superiore al 7% annuo, contro il 2% dei Treasury USA. Ma come ben sappiamo, le azioni sono anche molto volatili: in 29 degli ultimi 50 anni ci sono stati drawdown superiori al 10%. I mercati azionari sono volubili e possono essere piuttosto spietati.
A maggior ragione, a nostro avviso, bisogna concentrarsi sulle valutazioni o, più precisamente, sul value for money. Se gli ultimi dieci anni sono stati all'insegna della crescita (soprattutto dei ricavi), i prossimi dieci saranno probabilmente molto più incentrati sulla ricerca di società che offrano un concreto valore reale.
Con questo non intendiamo semplicemente le società a buon mercato. Solitamente i titoli a buon mercato hanno un buon motivo per essere tali. Le società dei settori tradizionali quali energia, finanza e industria non solo sono altamente cicliche, ma devono anche affrontare le grandi perturbazioni causate dalla transizione verso le nuove tecnologie; per contro, una società che scambia a un prezzo alto secondo le metriche attuali può rivelarsi un bluff se non assicura una crescita e flussi di cassa sostenuti per il futuro.
Riteniamo che agli investitori convenga concentrarsi sul lungo periodo, individuare aree dalla crescita strutturale sottovalutata e puntare con decisione su società dal vantaggio competitivo duraturo. Come sempre, il prezzo che si paga per un titolo è, appunto, ciò che si paga e il valore è ciò che si ottiene. I mercati azionari globali sono ricchi di valore, soprattutto per l’investitore paziente.
Le azioni dei mercati emergenti
Tom Wilson:
Negli anni 2000 i mercati emergenti, guidati dalla Cina, hanno avuto una crescita a tutto gas. I primi dieci anni di questo millennio sono stati all'insegna della globalizzazione, dell'urbanizzazione, del "super ciclo" delle materie prime e della crescita della classe media; l'industria manifatturiera, le materie prime e i consumi ne hanno beneficiato in modo importante.
I dieci anni successivi sono tuttavia stati una delusione. Le condizioni finanziarie dei Paesi emergenti e la crescita nominale sono state guidate dal persistente apprezzamento del dollaro USA. La globalizzazione si è stabilizzata perché la perdita di posti di lavoro nel settore manifatturiero nei Paesi avanzati ha fatto aumentare la pressione populista. L'immobiliare, le infrastrutture e il debito cinesi hanno assunto caratteristiche sempre più simili a quelle dei Paesi avanzati e, più di recente, si sono intensificate le tensioni geopolitiche, con implicazioni economiche e di mercato.
Dove si collocano ora i mercati emergenti? In che modo le 3 D di decarbonizzazione, deglobalizzazione e demografia generano rischi e opportunità?
Cominciamo dal livello strutturale, partendo dalla Cina, che attualmente rappresenta il 30% dell’indice MSCI Emerging Market.
Non depenniamo la Cina
Nei prossimi dieci anni la Cina si troverà a vivere una crescita più lenta. L'economia cinese deve abbandonare il modello di crescita basato sugli investimenti: la quota d’investimento del PIL è insostenibilmente alta: le infrastrutture sono state ampiamente realizzate e il boom immobiliare, durato anni, ha causato in molte parti del Paese un eccesso di offerta. I livelli di debito sono alti e le tendenze demografiche costituiscono sempre più un freno. La Cina deve far fronte a un calo della popolazione in età lavorativa, a un netto abbassarsi del tasso di natalità e a un rapido aumento dell'indice di dipendenza dovuto all'invecchiamento della popolazione.
Il Paese sta inoltre affrontando la "trappola del reddito medio": l'aumento dei costi salariali ha reso la Cina meno competitiva nella produzione di fascia bassa e il Paese deve risalire lungo la catena del valore.
Alle difficoltà dell’economia si aggiungono poi le tensioni geopolitiche con gli Stati Uniti. Tale situazione contribuisce alla diversificazione delle filiere di approvvigionamento, impedisce l'accesso alle tecnologie avanzate e il trasferimento di conoscenze, ha innescato una politica industriale aggressiva da parte degli Stati Uniti ed è d’ostacolo agli investimenti esteri diretti.
La Cina è comunque un'economia da 18.000 miliardi di dollari, con un mercato interno molto ampio e dimensioni adeguate a sostenere la propria politica industriale. Se c'è un Paese che può superare la trappola del reddito medio, è proprio la Cina.
Il Paese è altamente integrato nell'economia globale e resta altamente competitivo, per cui la diversificazione della filiera di approvvigionamento richiederà anni. La Cina è innovativa ed è potenzialmente tra i principali beneficiari della decarbonizzazione: produce l'80% dei pannelli solari del mondo, nel 2022 ha venduto i due terzi dei veicoli elettrici globali, controlla il 75% della capacità produttiva mondiale di celle per batterie e domina gran parte della filiera delle energie rinnovabili. Ha un tasso di risparmio alto e un conto capitale controllato, pertanto la sua crescita non dipende dai capitali esteri; insieme al controllo del sistema finanziario, questo conferisce alla Cina una notevole flessibilità in termini di politiche. Infine, in un mercato così ampio e profondo, ci saranno sempre opportunità a livello societario.
Va anche detto che la Cina non è i mercati emergenti: questi ultimi sono infatti un universo eterogeneo di Paesi caratterizzati da fattori trainanti diversi.
La demografia tra i motori dell'inesorabile ascesa dell'India
L'India fa da contrappunto alla Cina. Superata dalla Cina per 40 anni, l’India è ora in ascesa e forse adesso è il suo turno.
L’india parte da una base modesta. L'urbanizzazione è bassa e rappresenta un’opportunità di produttività importante nel medio periodo, gli investimenti infrastrutturali danno rendimenti alti, i dati demografici sono favorevoli e la manodopera è abbondante e a buon mercato. Le politiche governative volte a migliorare l'efficienza di bilancio, aumentare gli investimenti infrastrutturali, ridurre gli attriti commerciali tra gli Stati federali e favorire la sostituzione delle importazioni hanno migliorato le prospettive di crescita. La digitalizzazione e la penetrazione degli smartphone creano l'opportunità di far progredire la formalizzazione dell’economia, l'intermediazione finanziaria, l'istruzione e la scoperta dei prezzi.
Sono tuttavia diversi i caveat sul persistere di problemi infrastrutturali e burocratici, protezionismo, competenze della manodopera e codice del lavoro e, nonostante le sue dimensioni, l'India non è necessariamente la prima scelta per investimenti esteri diretti nel settore manifatturiero. Le prospettive dell'India per i prossimi dieci anni sembrano tuttavia promettenti.
I beneficiari di decarbonizzazione e deglobalizzazione
Corea e Taiwan sono mercati esposti al commercio e alla tecnologia in particolare. Abbiamo una view strutturale positiva sulla tecnologia, perché il mondo è sempre più digitalizzato. A ottobre 2023, la tecnologia rappresenta il 70% del benchmark di Taiwan e il 50% di quello coreano. La Corea ha anche importanti produttori di batterie con prospettive di crescita nel lungo periodo che la decarbonizzazione rende eccellenti.
La diversificazione della filiera di approvvigionamento va a beneficio di diversi Paesi emergenti. L'India non è ancora una destinazione di prima scelta per gli investimenti esteri diretti nel manifatturiero, mentre le prospettive di Messico, Europa centrale e Paesi dell'ASEAN sono sostenute da un mix di infrastrutture, manodopera qualificata e prossimità geografica. Produrre nei Paesi avanzati può essere molto costoso, in termini sia costruttivi sia operativi: per esempio, il reshoring della produzione di chip e batterie negli Stati Uniti richiede un enorme sostegno di bilancio. Probabilmente, quindi, la deglobalizzazione consiste più nel nearshoring e nel friendshoring che in un vero e proprio reshoring e mira più che altro a ridurre il rischio delle filiere di approvvigionamento.
Nei Paesi emergenti l'impatto delle materie prime si è notevolmente ridotto, ma il fabbisogno di investimenti della transizione energetica sosterrà fortemente certe materie prime a vantaggio di alcuni mercati, soprattutto in America Latina.
Infine, anche il Medio Oriente dovrà affrontare le sfide della transizione energetica, data la sua dipendenza economica dalla produzione di petrolio, e la forte concentrazione dei governi della regione sulla diversificazione dell’economia, con sostegni di bilancio e riforme importanti in Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, genererà opportunità interessanti.
Opportunità cicliche: Cina, Brasile e la tecnologia
Nei mercati emergenti abbondano quindi le opportunità strutturali. Ma in questo universo gli investimenti sono tanto ciclici quanto strutturali e questo è uno dei motivi per cui riteniamo sia importante una gestione attiva agnostica. L'India rappresenta un'interessante opportunità di crescita strutturale nel medio periodo, ma le valutazioni di questo mercato sono attualmente molto alte e vediamo opportunità migliori altrove.
Come in Cina. Al momento il sentiment in Cina è molto negativo: si discute molto delle difficoltà strutturali e geopolitiche e la debolezza dello slancio economico suscita timori nel breve termine. Tale situazione, tuttavia, si riflette in valutazioni a buon mercato e nella notevole correzione del posizionamento. Le politiche del governo hanno la flessibilità necessaria a sostenere la crescita ed è evidente la spinta alla stabilizzazione delle relazioni tra Stati Uniti e Cina. Sebbene il mercato non sia privo di rischi, riteniamo che in questo momento vi sia un pessimismo eccessivo.
Vediamo anche opportunità nel ciclo commerciale, in particolare nel settore tecnologico, in cui siamo in consistente sovrappeso. Il ciclo delle scorte è in fase di flessione: le scorte vanno esaurendosi e produzione ed espansione della capacità produttiva sono limitate. Per quanto nel 2024 la debolezza della domanda dei mercati avanzati possa smorzare la ripresa del ciclo, abbiamo posizioni in società e mercati che scambiano a valutazioni interessanti e che beneficeranno della ripresa del ciclo, con buone prospettive nel medio periodo.
Anche i cicli valutari possono offrire delle opportunità. Le banche centrali dei Paesi emergenti sono in genere tenute all’ortodossia. Dopo gli aggressivi rialzi dei tassi e la disinflazione, in alcuni Paesi c'è ora spazio per un significativo allentamento monetario. In Brasile, per esempio, i tassi di interesse sono attualmente al 12,25% e nel 2024 l'inflazione si prospetta inferiore al 4%; si prevede che la banca centrale continuerà con i tagli dei tassi, a beneficio di un mercato caratterizzato da azioni ampiamente a buon mercato e un’alta curva dei rendimenti.
La quarta D: il dollaro USA
Infine, non si può parlare di mercati emergenti globali senza menzionare la quarta D, cioè il dollaro USA. Dieci anni di apprezzamento del dollaro hanno messo in difficoltà i mercati emergenti, situazione che permarrà nel breve periodo.
Grafico: l'importanza del dollaro USA per la performance azionaria dei mercati emergenti
Il dollaro attualmente ha una buona valutazione, proprio mentre gli Stati Uniti registrano un significativo deficit di bilancio e delle partite correnti. Un rallentamento dell'economia che inneschi un allentamento monetario e un'attenuazione della curva dei rendimenti potrebbe ammorbidire il dollaro, migliorando le condizioni finanziarie dei Paesi emergenti; unito a valutazioni ampiamente interessanti, questo sarebbe di grande sostegno per i rendimenti azionari dei mercati emergenti.
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