Come ingaggiamo le banche europee sul cambiamento climatico
Il dialogo con le banche in cui investiamo è fondamentale. Target credibili ed efficaci piani di transizione climatica: questo il nostro contributo per ridurre le emissioni finanziate.
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L’impronta di carbonio di una banca derivante dall’attività operativa di sedi e filiali è relativamente contenuta. Ma in quanto enti finanziatori, le banche hanno una forte influenza sulle emissioni dei clienti, a livello planetario. Quindi nel loro caso il vero parametro da monitorare è rappresentato dalle emissioni finanziate.
Se il mondo intende raggiungere il target dell’Accordo di Parigi, cioè limitare l’aumento della temperatura a 1,5°C rispetto al livello pre rivoluzione industriale, le banche dovranno smettere di finanziare attività responsabili di emissioni nocive.
Nel 2022 Justin Bisseker, analista del settore bancario del team azionario europeo, ha passato oltre un mese a effettuare interventi di engagement con nove banche europee sulla questione climatica. Carol Storey, climate engagement lead, ci illustra le implicazioni di tale attività e come questa si inserisce nel più ampio contesto dell'impegno di Schroders sul fronte climatico. E Nicholette MacDonald-Brown, portfolio manager, ne chiarisce l'utilità in fase di selezione dei titoli.
Quali soggetti ha riguardato l’attività di engagement?
Justin Bisseker (JB): “Ho portato avanti attività di engagement con nove banche europee in cui Schroders detiene posizioni azionarie consistenti. I miei colleghi del team del credito hanno inoltre dialogato con altre tre banche del vecchio continente in cui, al momento, Schroders ha posizioni obbligazionarie rilevanti.
L’obiettivo era capire come si classificava ciascuna banca in base a 33 criteri. Le principali aree di focus erano le emissioni finanziate, la definizione di target credibili, le tempistiche per i piani di transizione climatica e le informative su emissioni finanziate e piani per la transizione.
Tutte e nove le banche ingaggiate sono firmatarie della Net Zero Banking Alliance dell’ONU. Sono pertanto tenute a strutturare i portafogli di prestiti e investimenti in modo da contribuire ad azzerare le emissioni nette entro il 2050. Le banche devono quindi fissare target al 2030 riguardo al finanziamento o all’investimento nei settori a più alta intensità di gas serra. Io volevo sapere quali target fossero stati già stabiliti e che cosa potevamo attenderci nei mesi a venire”.
Quali sono state le principali criticità che avete incontrato?
JB: “Le difficoltà principali sono derivate dal fatto che si trattava di un aspetto completamente nuovo per le banche. In molti casi, era la prima volta che un fundamental equity analyst come me poneva domande sulle emissioni finanziate o i piani di transizione climatica. Diverse banche si rendono conto solo ora che gli investitori sono interessati non solo agli utili, ma anche a come questi utili sono generati.
Un ostacolo in fase di misurazione delle emissioni finanziate deriva dalle diverse metodologie utilizzate dalle banche. Molte di queste, ma non tutte, usano lo standard di PCAF (Partnership for Carbon Accounting Financials). In merito ai target di riduzione delle emissioni, quelli di molte banche non sono ancora stati convalidati da un ente indipendente come la Science-Based Targets Initiative. In assenza della convalida, è impossibile stabilire se i target fissati comporteranno o meno la definizione di una tabella di marcia credibile per l’azzeramento delle emissioni nette entro il 2050.
Da ultimo, l’aspetto probabilmente più frustrante è la difficoltà di reperire le informazioni necessarie per effettuare un’analisi adeguata delle banche e confrontarle tra loro. In qualità di analista bancario, sono abituato a trovare tutte le informazioni finanziarie rilevanti in un unico posto, ma al momento per i rischi climatici e i piani per la transizione di gran parte delle banche non esiste una “sola fonte di verità”. Ad esempio, a volte non è chiaro se una banca non ha una politica o se semplicemente non l’ha divulgata”.
Quali conclusioni hai tratto da questa attività di engagement?
JB: “Interventi come quelli condotti non possono essere una tantum. Intendiamo effettuare dei follow-up con ciascuna banca in merito alle azioni che a nostro avviso dovrebbe intraprendere e poi fare controlli periodici per monitorare i progressi.
Una cosa è certa, l’asticella si alza velocemente. I target e le informative che sembravano ragionevoli un anno fa, potrebbero ben presto rivelarsi insufficienti, dato che la transizione energetica è sempre più urgente. Ma ora sappiamo quali prassi sono “positive” e monitoreremo le banche oggetto di engagement per assicurarci che manterranno gli standard concordati.
Malgrado le difficoltà che ho elencato, le banche europee sono davvero all’avanguardia in quest’ambito e questo è molto incoraggiante. Alcune banche britanniche, in particolare, fanno da apripista. Un altro aspetto positivo è la volontà delle banche di portare avanti l’engagement sul tema in questione. In molti casi abbiamo riscontrato un forte interesse circa il posizionamento rispetto ai peer”.
In che modo gli interventi di engagement si inseriscono nella più generale attività di azionariato attivo di Schroders?
Carol Storey (CS): “A inizio 2022 abbiamo pubblicato un piano di engagement, in cui illustriamo la nostra idea di azionariato attivo. Il clima rientra tra i sei temi prioritari oggetto di engagement e in tale ambito la finanza climatica è in cima alla lista degli argomenti.
L’obiettivo è scoprire in che modo un istituto finanziario indirizza prestiti e investimenti verso le tecnologie oggetto di una rapida crescita nell’ambito della transizione verso net zero e che quindi richiederanno un sostegno finanziario sempre più consistente. Al contempo, vogliamo sapere come intende allontanarsi dalle attività ad alte emissioni, che saranno le più penalizzate in futuro.
Il dialogo di Justin con le banche pan-europee è stato molto serrato e approfondito. intendo fare altrettanto anche con le banche USA.
Grazie all’engagement, è per noi più semplice individuare le banche leader sul fronte climatico. Ma abbiamo anche riscontrato degli ostacoli in fase di raccolta dei dati, dalla mancanza di risorse interne dedicate, all'assenza di un metodo consolidato di misurazione delle emissioni del portafoglio e di definizione dei target. In questi casi l’attività di engagement è servita per indirizzare le banche verso le buone pratiche viste altrove.
L’engagement consiste nel lavorare con le banche per condividere conoscenze e competenze, cosicché siano in grado di prendere decisioni più consapevoli”.
E quale contributo dà l’engagement alla selezione dei titoli da inserire in portafoglio?
Nicholette MacDonald-Brown: “In qualità di gestore di portafoglio specializzato nelle azioni sostenibili europee, punto a investire in modo da generare performance interessanti per i clienti e avere un impatto positivo sulla condotta aziendale e sulla collettività intera.
Le politiche e le decisioni delle banche sulle emissioni finanziate sono rilevanti perché influiscono sul valore degli investimenti e sul benessere del nostro pianeta. Le banche molto esposte ai combustibili fossili corrono rischi finanziari, normativi e reputazionali significativi nel quadro della transizione verso un’economia low carbon.
Grazie all’attività di engagement condotta da Justin, per me è più semplice individuare le banche che dovranno rinunciare a gran parte dei finanziamenti e che sono quindi esposte a maggiori rischi. Al contempo, l’engagement mi aiuta a scoprire le potenziali aree di crescita delle singole banche.
Infine, la collaborazione con le banche riguarda anche la condivisione delle conoscenze per consentire alle banche di prendere decisioni più consapevoli. A loro volta, le decisioni consapevoli aiutano a rafforzare gli investimenti dei clienti e contribuiscono alla creazione di business model più sostenibili e, in generale, di un mondo più sostenibile".
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