I Payroll USA mostrano che la guerra all'inflazione non è ancora finita
Il rischio di effetti di secondo impatto rimane elevato
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Il rapporto sui dati occupazionali degli Stati Uniti fornisce un'ulteriore prova provvisoria del fatto che il mercato del lavoro si sta raffreddando. I non-farm payroll sono aumentati di 263.000 unità a settembre, rispettando ampiamente le aspettative di un aumento di 255.000 unità. Il dato è in calo rispetto agli aumenti di luglio e agosto, rispettivamente di 537.000 e 315.000 unità.
Nonostante il rallentamento della creazione di posti di lavoro, il tasso di disoccupazione è sceso al 3,5%, contro le aspettative che lo vedevano fermo al 3,7%. Tuttavia, i salari sono rimasti poco reattivi. La retribuzione oraria è aumentata dello 0,3% nel corso del mese, invariata rispetto al mese precedente, con un leggero rallentamento del tasso annuale al 5,1%.
Anche altri indicatori suggeriscono che lo slancio delle assunzioni sta iniziando a moderarsi. Le aperture di nuovi posti di lavoro sono diminuite di 1,1 milioni in agosto, il secondo calo più netto degli ultimi 20 anni. Inoltre, un numero minore di lavoratori sta abbandonando il proprio posto di lavoro, segno che è più difficile trovare un nuovo impiego.
Ma per la Fed la missione è tutt'altro che compiuta: i posti vacanti sono ancora 10,1 milioni, ovvero 1,7 per ogni lavoratore disoccupato, mentre le dimissioni sono 4,2 milioni (un tasso del 2,7%).
Il rischio di effetti di secondo impatto rimane pertanto elevato, in particolare con l'inflazione dell'indice dei prezzi al consumo (CPI) ancora ben al di sopra del target. Finché non ci saranno chiari segnali che le condizioni finanziarie più restrittive iniziano a guadagnare trazione, è probabile che la Fed mantenga la sua posizione da "falco".
In quest'ottica, la pubblicazione dei dati sull'inflazione di questa settimana sarà probabilmente un fattore determinante per l'aggressività con cui la Federal Reserve alzerà i tassi nella prossima riunione, anche se potrebbe passare del tempo prima di poter concludere che la guerra all'inflazione è stata vinta.
Eppure, come ha osservato il premio Nobel per l'economia Milton Friedman, la politica monetaria funziona con ritardi lunghi e variabili, e ciò che era vero 50 anni fa lo è ancora oggi.
Ci aspettiamo che la Fed alzi i tassi al 4,25% entro la fine dell'anno, prima di fare il punto della situazione per osservare l'impatto del significativo inasprimento effettuato. Riteniamo in ogni caso difficile che si possa evitare una recessione se l'inflazione deve tornare attorno al target in tempi ragionevoli.
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