Le uova di Pasqua non fanno male solo alla linea
L'insostenibile produzione del cioccolato

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La consapevolezza circa l'impronta di carbonio degli alimenti è cresciuta enormemente negli ultimi anni. Questa non riguarda solo 'i chilometri di cibo' riferiti alla coltivazione di un alimento in un Paese e al trasporto in un altro. Riguarda anche la deforestazione per fare spazio alle coltivazioni e il pascolo degli animali, le emissioni prodotte dal bestiame, dalla coltivazione per i mangimi, dalla lavorazione degli alimenti, dal confezionamento e così via.
Il grafico sull'impronta di carbonio mostra come il cioccolato si posiziona rispetto ad altri alimenti. E non sono buone notizie. Il cioccolato è in competizione con la carne rossa in termini di emissioni di gas serra per chilogrammo.

Il problema con il cioccolato è che contiene molti ingredienti deliziosi, ma dannosi per l'ambiente, come latticini, cacao, zucchero, olio di palma. E l'impatto sul terreno legato alle coltivazioni di cacao è il secondo colpevole per l'impronta di carbonio del cioccolato.
Ad essere onesti, il confronto con la carne rossa andrebbe calibrato: in media una tavoletta di cioccolato pesa meno di 50 grammi, mentre una bistecca può pesare fino a 200 grammi ? anche se alcune delle uova di Pasqua più grandi sugli scaffali probabilmente non si distaccano molto.
Ma dal punto di vista degli investimenti sostenibili, le emissioni di gas serra non solo assolutamente l'unico problema.
Le pratiche di lavoro nell'industria del cioccolato sono insostenibili
Una delle nostre principali preoccupazioni riguarda il trattamento dei lavoratori nella catena di approvvigionamento. Molti dei brand di cioccolato più noti sono posseduti da grosse aziende basate in Svizzera o negli USA. Si tratta di un'enorme distanza rispetto alle persone che effettivamente coltivano il cacao in Ghana o Costa D'Avorio per i loro fornitori.
C'è un grosso interrogativo sul trattamento di questi agricoltori e lavoratori nelle piantagioni di cacao. Le grandi multinazionali hanno tutte politiche onnicomprensive sugli standard di lavoro dei propri fornitori, ma sono davvero efficaci o realmente applicate?
In particolare, un timore di lunga data riguarda gli elevati livelli di lavoro minorile nell'industria del cacao ? si stima che arrivino fino a 2 milioni i bambini al lavoro nelle fattorie delle loro famiglie. Oltre a perdere la scuola, questi bambini spesso svolgono compiti pericolosi, come usare il machete o irrorare pesticidi.
Le aziende di cioccolato hanno promesso di azzerare il lavoro minorile nelle loro catene di approvvigionamento fin dal 2001, ma non hanno rispettato la scadenza né nel 2005, né nel 2008 e né nel 2010. Secondo alcune stime, il numero in realtà è anche salito. Con questo trascorso, non sorprende che anche l'obiettivo meno ambizioso di quest'anno di una riduzione del 70% sembri improbabile.
Il cuore del problema è la complessità delle catene di approvvigionamento, soprattutto considerando che il 90% del cacao nel mondo è coltivato da piccoli agricoltori ? circa 6 milioni. Le grandi aziende non sono in grado di tenere traccia dei coltivatori che producono il loro cacao, figuriamoci di individuare se è stato impiegato il lavoro minorile. Mars riesce a tracciare solo un quarto del cacao che utilizza fino al coltivatore, Nestlé e Hershey circa la metà.
Serviranno forzi maggiori per ricostruire la catena del cacao fino alla fonte e per verificare le condizioni nelle piantagioni ? ciò è più facile a dirsi che a farsi e non rappresenta di per sé una soluzione. In ultima istanza, l'unica soluzione sostenibile è combattere la povertà alla base del lavoro minorile. Ciò può essere fatto pagando un premio ai coltivatori, sostenendo le cooperative di agricoltori e aiutando i coltivatori a diversificare rispetto al cioccolato, per complementare i propri redditi.
Le aziende stanno iniziando a muoversi in questa direzione, ma la maggior parte è solo nelle prime fasi delle discussioni. L'industria vale 100 miliardi di dollari l'anno in termini di vendite, ma rischia di vedere la propria reputazione danneggiata da nuovi player più responsabili e agili, se non si alza la posta in gioco. Inoltre, gli agricoltori impoveriti rappresentano un rischio per la sostenibilità dell'offerta. Si tratta di una prospettiva sgradevole per gli investitori.
Il commercio equo e solidale è un'etichetta, non una risposta
Cosa dire invece del commercio equo e solidale - non dovrebbe essere una risposta al problema? Sfortunatamente, la realtà non è così semplice. L'aumento di domanda di prodotti etici ha portato alla proliferazione di diversi schemi con diversi standard, incoraggiando il 'fair washing'. Ciò ha condotto alla perdita di fiducia da parte dei consumatori, soprattutto dopo gli scandali in cui alcune aziende agricole del commercio equo e solidale hanno visto la revoca della certificazione dopo ispezioni non pianificate.
Molte aziende leader nella produzione di alimenti e nella vendita di tali prodotti hanno talmente poca stima in questi schemi che hanno deciso di uscirne per creare i propri modelli etici, complicando ulteriormente il quadro per i consumatori.
E se da un lato i programmi di commercio equo e solidale contribuiscono ad affrontare i mali sociali dell'industria del cioccolato, dall'altro non fanno nulla per le preoccupazioni ambientali, dall'impatto della coltivazione di cacao, alla tracciabilità e all'impatto ambientale di alcuni ingredienti come olio di palma e nocciole. Il ruolo dell'olio di palma nel processo di deforestazione è un tema particolarmente controverso.
C'è poi la questione del confezionamento. Essendo utilizzato come un regalo o come un bene di lusso, il cioccolato tende ad avere packaging molto impegnativi. Se si pensa a un uovo di Pasqua, questo è generalmente contenuto in un incarto in stagnola, dentro uno stampo di plastica, in una scatola di cartone. E può anche includere cioccolatini confezionati singolarmente.
Cosa possono fare investitori e consumatori?
Tutto questo non ti ha fatto passare la voglia di cioccolato? La questione è che molti di noi lo amano e sono riluttanti a rinunciarvi.
Le opzioni a basso contenuto di latticini potrebbero essere parte della soluzione. I consumatori attenti alle emissioni potrebbero passare dal cioccolato bianco o al latte a quello fondente. Anche piccoli contributi sono importanti.
Nel Regno Unito, e non solo, la crescita del veganismo ha fatto sì che molti produttori si dedicassero al cioccolato vegano, che ha una impronta di carbonio effettivamente minore. Fare il cioccolato senza cacao tuttavia, non è un'opzione concepibile. Anche se fosse possibile produrre sostituti sintetici come la 'finta carne', ciò farebbe scendere il prezzo del cacao, privando quei 6 milioni di agricoltori del loro reddito, e non liberandoli dalla schiavitù.
A livello di investimenti, siamo alla ricerca di società che dimostrino crescita e rendimenti sostenibili sul lungo termine. L'esempio del cioccolato mostra quanto i rischi relativi alla sostenibilità siano spesso nascosti. Ciò evidenzia l'importanza di una ricerca profonda per capire non solo le operazioni di una singola azienda, ma anche quella degli stakeholder coinvolti nella catena di approvvigionamento.
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